Nella primavera 2020, segnata dall'isolamento per pandemia da Sars-Cov-2, in un luogo interiore antitetico al frastuono della 'comunicazione', Luigi Bressan compone un erbario che la sapienza evocativa della sua parola distillato di un magistero lungo una vita di raffinatissima e umile ci viltà , tanto alto quanto appartato trasforma sotto gli occhi dapprima stupiti e poi incantati del lettore in un giardino vivo, o piuttosto in un allegorico orto dei semplici meravigliosamente vario, vitale e terapeutico. Con una essenziale avvertenza, però , opportunamente presa a prestito da uno dei maestri della visione: « il soggetto è secondario, quel che voglio riprodurre è ciò che si trova tra me e il soggetto» . A uno snodo d'epoche drammatico e sommamente incerto, proprio questa cristallina intercapedine d'aria e di tempo tra l'io poetante e il suo soggetto diventa il luogo miracoloso in cui tutto ciò che non è più , evocato, rivive un'ultima volta in una estrema luce di commiato, simile a quella che illumina radente la domanda capitale posta a sigillo dell'ultimo, in ordine di esecuzione e di senso, dei 'Vier letzte Lieder' di Richard Strauss: « è questa, forse, la morte? » . Das Urheberrecht an bibliographischen und produktbeschreibenden Daten und an den bereitgestellten Bildern liegt bei Informazioni Editoriali, I. E. S. r. l. , oder beim Herausgeber oder demjenigen, der die Genehmigung erteilt hat. Alle Rechte vorbehalten.